18 Marzo 2023 In News

Gli adeguati assetti e il codice della crisi

Con l’entrata in vigore, dal 15 luglio 2022, del Codice della crisi di cui al DLgs. 14/2019, così come modificato, da ultimo, dal DLgs. 17 giugno 2022 n. 83, il legislatore chiarisce le caratteristiche che deve presentare l’assetto dell’impresa per poter essere compliant con le prescrizioni dell’art. 2086 c.c.

Il citato articolo è in vigore da marzo 2019, ma la sua formulazione si prestava a differenti interpretazioni, in quanto stabilisce che gli imprenditori, che operino in forma societaria o collettiva, hanno “il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Dal 15 luglio 2022, in base al comma 1 dell’art. 3 del DLgs. 14/2019, “L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee  a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte”. Pertanto, pur con una diversa formulazione, il dovere di disporre di strumenti idonei per la gestione è esteso anche agli imprenditori individuali.

L’aspetto più rilevante, e che desta non poche preoccupazioni, è però il successivo comma 3, che per la prima volta definisce le caratteristiche che deve presentare l’assetto dell’impresa per poter essere ritenuto in linea con le previsioni dell’art. 2086 c.c., cioè in grado di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi. Gli assetti d’impresa “devono consentire di:

  1. a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore;
  2. b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;
  3. c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la li- sta di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, al comma 2”.

Ci focalizziamo sulla lett. b) sopra riportata, in particolare la prima parte.

La previsione normativa riguarda tutte le imprese, non solo quelle in crisi naturalmente: l’azienda deve dotarsi di un assetto che le consenta di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi. Sul piano tecnico, per poter rispettare tale richiesta, l’impresa dovrebbe essere in grado di predisporre i flussi di cassa prospettici che generalmente si rappresentano in un budget di tesoreria mensilizzato, da aggiornare periodicamente (es. ogni mese, ma in generale occorrerebbe un processo di aggiornamento continuo) per fare in modo che abbracci sempre i dodici mesi successivi (rolling). Finora tale attività era richiesta solo in sede di redazione del bilancio d’esercizio annuale, al fine di poter verificare la continuità aziendale. Su tale aspetto alla luce dell’attuale disciplina di legge il cambiamento è stato radicale rispetto alla prima versione del Codice della crisi.

Quando sono stati introdotti i “famosi” indici di allerta, ora normativamente superati, si prevedeva che, nello specifico, essi fossero identificati dal CNDCEC. Il gruppo di lavoro del CNDCEC, tenendo conto delle peculiarità delle imprese italiane, aveva identificato nel DSCR determinato sui dati prospettici dei successivi sei mesi la “via maestra”, ma anche una via d’uscita per le imprese (in Italia certamente la grande maggioranza), che non erano in grado di stimare in modo attendibile i dati prospettici dei successivi sei mesi. Il documento prevedeva, infatti, che si ricorresse all’impiego combinato di una serie di cinque indici, con soglie diverse a seconda del settore di attività. Si trattava, cioè, di verificare, sulla base di situazione periodiche trimestrali (bilanci intermedi), l’eventuale superamento delle soglie calcolando i cinque indicatori.

Ora, quantomeno se ci si limita al dato letterale della norma, il legislatore appare piuttosto “severo”, a nostro parere. Da un lato, infatti, l’art. 2086 c.c. precisa che l’assetto debba essere “adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa”, riconoscendo come è logico che l’assetto di una grande impresa non possa che essere diverso da quello di una piccola, ma poi, con l’art. 3 del Dlgs. 14/2019, estende a tutti l’obbligo di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi.

Va però considerato che se indubbiamente il budget di tesoreria è lo strumento principe per monitorare la sostenibilità del debito e la continuità, allo stesso tempo, le imprese meno strutturate potrebbero ricorrere a indicatori più semplici, come la stima dell’EBITDA prospettico, quale indicatore della capacità dell’impresa di produrre risorse finanziarie potenziali, da confrontare con gli impegni finanziari assunti, con riferimento all’arco temporale dei dodici mesi successivi.

Saranno le prese di posizione della dottrina e (più avanti) della giurisprudenza a chiarire come vada interpretata, sul piano pratico, tale apparente contraddizione.

Fonte : Eutekne.info

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